Mia sorella Modina, che a quell’epoca aveva circa 12 anni, aveva trovato lavoro come domestica presso la casa della famiglia Mireo, proprietaria di bestiame e di terre.
Presso questi signori lavorava come servo pastore anche un ragazzo di Ollasi, che trascorreva le sue giornate in località “Badde e Domo” a circa 10 km dal paese, dove rientrava solo quando doveva rifornire l’ovile di provviste.
Successe che questo giovane riuscì a strappare al padrone la promessa di poter usufruire di tre giorni di permesso in occasione del Carnevale, così da potersi recare al suo paese di origine e divertirsi un po’.
Prima di congedarsi avvisò il padrone che le provviste di pane, in campagna, scarseggiavano e che quindi, in sua assenza, occorreva che mandasse qualcuno con i rifornimenti alimentari necessari per rifocillare gli altri servi.
Fu così che il signor Mireo chiese a mia sorella se conoscesse qualcuno di fiducia, in grado di stare in groppa ad un asino fino a raggiungere il suo terreno e consegnare le scorte alimentari.
Mia sorella suggerì il mio nome.
Io mi presentai il giorno seguente e ottenni l’incarico.
Avevo nove anni.
Ricordo che mi sellarono un’asina, appesero delle bisacce con dentro pane, lardo, dolci di frutta secca e, sapendo che non conoscevo bene la zona e ignoravo il tragitto, mi rassicurarono con queste parole:
«Tu non devi fare niente, non fare assolutamente nulla se non tenere le briglie e lasciare che la strada la trovi l’asina».
Così feci.
Lungo il tragitto, quando incontravo qualche viandante o pastore, mi limitavo a chiedere se la direzione che avevamo intrapreso fosse quella giusta per “Badde e Domo” e puntualmente venivo rassicurato.
Trascorse così almeno un’ora, durante la quale mai una volta imposi il mio volere all’animale che, a passo spedito, procedeva dritto verso una sua personale e non esplicitata meta.
Solo ad un certo punto mi accorsi che stavo per arrivare all’ovile perché sentii sempre più forte il latrare dei cani che avvisavano i servi pastore della vicinanza di un estraneo e che, invece, quando mi intravidero e riconobbero l’asina, intuirono che l’avventore arrivava con le attese buone nuove.
Nell’ultimo tratto del sentiero l’asina divenne più irrequieta e aumentò il trotto accorciando le distanze tra me e tutto quel vociare misto a versi e belati. Mi resi conto che ormai non riuscivo a governarla neanche attraverso le redini, nè incassando i piedi sul suo ventre, nè se avessi sciorinato concitatamente tutto il mio lessico scarno e gutturale appreso nei troppo pochi anni di pratica con le bestie da soma.
Mi sembrava come in preda ad una forza folle che la rendeva impermeabile a qualunque comando, sorda a qualsiasi preghiera.
Giunto finalmente nei pressi dalla casa, venni circondato dai pastori che arrestarono prima la corsa dell’asina, facendomi scendere, e poi scaricarono l’animale dai viveri, liberandolo mentre ragliava in modo forsennato e ossessivo finchè, da un cortile antistante, sentii il verso flebile di un piccolo asinello che rispondeva ai versi disperati con ansimante trasporto.
Scoprii in seguito che il poverello era a digiuno da tre giorni perché la sua mamma, molto preoccupata per la sorte del suo piccolo, era stata suo malgrado costretta ad accompagnare, in sella alla propria schiena, un piccolo d’uomo di nove anni che non conosceva il tragitto.
“RAGGIUNGE CON FORZA UNA META
SOLO COLUI CHE CONOSCE
LO SCOPO PROFONDO DEL VIAGGIO“